BASSANO. Una bambina di cinque mesi che non ha ancora visto la luce a causa di una grave forma di cataratta congenita bilaterale, due primari, di Bassano e Santorso, che uniscono le forze per restituirle la vista. È accaduto nei giorni scorsi al San Bassiano, dove la piccola paziente è stata operata dalla dott.ssa Simonetta Morselli, direttore dell’U.O.C. di Oculistica del San Bassiano, e dal suo collega dott. Antonio Toso, direttore dell’U.O.C. di Oculistica dell’Ospedale Alto Vicentino.
A spiegare il ruolo fondamentale di questa collaborazione è la stessa dott.ssa Morselli: «Questo tipo di interventi è piuttosto complesso, tanto è vero che in tutto il Nord Italia vi sono pochi centri nei quali vengono eseguiti. E anche per il chirurgo sono molto impegnativi: si tratta infatti di operare per alcune ore fissando l’ingrandimento dell’area in cui si va ad agire, con movimenti che devono essere incredibilmente precisi, e in questo tipo di operazioni non c’è possibilità di utilizzare un robot: fondamentale è la manualità di chi esegue l’intervento. Per queste ragioni non è sostenibile per un solo chirurgo operare entrambi gli occhi in contemporanea, perché la fatica e lo stress andrebbero a incidere sulla sicurezza dell’esecuzione durante l’intervento nel secondo occhio e per garantire sempre un secondo chirurgo pronto a subentrare, come peraltro avviene in qualsiasi altra chirurgia complessa, e non da ultimo, per non dover sottoporre il piccolo paziente a un secondo intervento differito in anestesia generale. Per tutte queste ragioni è stato fondamentale che operassimo insieme».
Un’operazione complessa, come sottolinea anche il dott. Toso: «La cataratta congenita è una patologia che presenta una incidenza compresa tra 3-15 casi ogni 10.000 nuovi nati nel mondo. Nella maggior parte dei casi la causa della cataratta congenita è sconosciuta, in altri casi è dovuta a modificazioni genetiche, a infezioni intrauterine della madre durante la gravidanza o a malattie metaboliche. È necessario intervenire tempestivamente, a volte anche tra la quarta e sesta settimana di vita al fine di evitare il fenomeno della deprivazione visiva o ambliopia, ovvero il più comunemente noto “occhio pigro”: non arrivando la corretta immagine alla corteccia cerebrale durante i primissimi mesi di vita, il cervello stesso disattiva parzialmente o del tutto i segnali provenienti dall’occhio. Non solo: dopo l’intervento è necessario avviare una corretta e lunga riabilitazione visiva al fine di sradicare al meglio questa anomala risposta del cervello. E qui occorre la dedizione dei medici oculisti, degli ortottisti e dei genitori”.